Roma, per Ungaretti, rappresenta uno snodo cruciale e un varco iniziatico di accostamento umano, verso la maggiore conoscenza. È un richiamo che attrae ma disorienta: nodo da sciogliere, mistero da decifrare, incognita da depotenziare. Ungaretti vi si stabilisce all’inizio degli anni ’20: Roma gli appare fin da subito un problema, biografico ed estetico. Difficoltà economiche che lo assillano, da un lato; dall’altro, la “presa di possesso” di una città che “deve” fare sua in quanto forestiero. Prova rispetto sacrale per una Storia che inizialmente sente estranea, poiché lo intimidisce e quasi lo paralizza, con la dismisura irriducibile della sua “offerta”. Roma è un infinito che “non cape”, che sfugge da ogni parte, che non si lascia ricondurre ad unità. Non solo ruderi antichi e grandi opere barocche; ma anche la rumorosa e attiva metropoli moderna, la capitale imprescindibile dei salotti, delle redazioni, dei caffè…Ungaretti ci mette anni per farsela amica, per sentirla familiare. Il suo rapporto con Roma procede nel senso di una duplice e simultanea centralizzazione: la città diventa cuore del poeta nella misura in cui egli si appropria del suo (culturale, storico, semantico, simbolico); e viceversa.
Il saggio segue le complesse e multiformi dinamiche di questo percorso, attraverso la vita e la scrittura, intimamente legate, di uno dei giganti del Novecento europeo.